“Da qualche parte in Sicilia”, un padre insegna ai suoi tre figli a sgozzare una pecora: il maggiore non ne ha il coraggio, all’unica femmina non viene permesso, e il più piccolo si rassegna a compiere il gesto brutale, consapevole di non potersi sottrarre al proprio destino.
È in questo incipit che Fabio Grassadonia e Antonio Piazza enucleano la figura di Matteo Messina Denaro, figlio minore del boss Gaetano e capo di Cosa Nostra denominato (fra i tanti soprannomi) “u pupu” – che vuole anche dire il burattino. L’ex sindaco, assessore e consigliere comunale Catello Palumbo invece è soprannominato “il preside”, per sottolineare non solo un suo trascorso come dirigente scolastico, ma anche il suo livello culturale più elevato rispetto al contesto nel quale è cresciuto. Quando Palumbo esce dal carcere, sommerso dai debiti, i Servizi segreti gli fanno un’offerta che non potrà rifiutare: quella di stanare Messina Denaro dalla latitanza e renderne possibile la cattura, attraverso una corrispondenza a base di pizzini. Ma chi è il gatto e chi è il topo resterà da stabilire.